Il mio racconto

Angelica

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    bambolina killer

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    Non so se vi ricordate che tempo fa avevo detto che stavo scrivendo un racconto, e poi mi ero fermata e non riuscivo più a continuare. Ebbene, sono sempre allo stesso punto, ma ho pensato di postarvi quel poco che ho scritto, così magari riuscite a darmi qualche consiglio o ispirazione :rolleyes:

    Angelica


    Capitolo I



    Quando aprii gli occhi l’amletico dubbio che si affacciò nel mio cervello fu “Come accidenti ci sono finita qui?”. Ero distesa sull’asfalto, la strada era deserta, la mia testa dolorante… Impiegai circa un minuto per recuperare almeno un minimo di lucidità. Cercai di alzarmi, ma sentii come un macigno dietro la nuca che mi costrinse a restare ferma dov’ero. Le tempie mi pulsavano a un ritmo infernale, mi portai una mano sulla fronte e la sentii calda e madida di sudore. Tentai disperatamente di ricordare cosa diavolo mi fosse successo, ma la mente era confusa, annebbiata e non ne voleva proprio sapere di rispondere al mio appello… Solo pochi attimi dopo improvvisamente cominciarono ad apparirmi flash di immagini, attraverso i quali riuscii poco a poco a ricostruire gli ultimi avvenimenti di quella dannata serata…
    Mi rividi in quel buco di locale in cui mi avevano trascinato Guido e la sua compagnia. Detestavo Guido, detestavo la sua aria da tamarro, e detestavo i suoi amici fighetti. Accettai di uscire con loro solo per sfinimento, dato che il mio “spasimante” me l’aveva chiesto più o meno una cinquantina di volte nel giro di un mese. Quella mattina uscivo da scuola per conto mio, allorché il cascamorto tornò alla carica. Era più molesto di uno sciame di scarafaggi rinoceronti… Alla fine, esausta, cedetti alle sue insistenze, nella tenue speranza che dopo una prima uscita avrebbe mollato l’osso. Mi pentii in pochi decimi di secondo di essermi lasciata convincere, ma ormai era tardi e dovetti rassegnarmi all’idea di trascorrere una mediocre serata con una comitiva di truzzi. Francesca sosteneva che il mio modo di inquadrare e classificare le persone fosse sintomo di una certa presunzione, ma io non ritenevo di avere alcuna colpa se certa gente si lasciava classificare tanto facilmente. Essi stessi volevano far parte del gregge, e allora tanto valeva considerarli alla stregua di tante piccole pecore. Ero un po’ acidella, di questo ne rendo atto, ma non mi consideravo presuntuosa, semmai spietatamente obbiettiva nei riguardi della realtà che mi circondava.
    Quella sera Guido passò da casa mia verso le undici. Mi assicurò che mi avrebbe portato in un posto stratosferico e che ci saremmo divertiti come matti. Dal canto mio, mi permisi di avere non poche riserve in merito. Le luci della discoteca illuminavano a intermittenza un gruppo di esagitati che saltavano e agitavano le mani forsennatamente al ritmo di una disgustosa musica house. Non riuscivo a capacitarmi di come facesse quella gente a definire “musica” quel susseguirsi disarmonico di rumori messi insieme con un computer… Per me la musica nasceva dalle vibrazioni delle corde di un basso o di una chitarra, oppure dalle percussioni di una batteria. Quella non era musica, semplicemente non aveva anima. Gettai un altro sguardo al gruppo di automi che continuavano a saltare come ossessi; tra loro vidi anche Guido avvinghiato a una tipa bionda alta più o meno come un soldo di cacio. Mi aveva supplicato giorno e notte di uscire con lui, e ora che finalmente era riuscito nel suo intento mi piantava lì da sola per una lillipuziana! La cosa avrebbe dovuto irritarmi, ma in realtà riuscii a provare solo un profondo senso di sollievo per essermelo levato dai piedi. Provai ad ingannare il tempo tracannando una consumazione dopo l’altra, ma ben presto mi resi conto che per reggere quel posto l’alcool non mi sarebbe stato sufficientemente d’aiuto. Attirai l’attenzione di uno degli amici di Guido, soprannominato per ovvi motivi “er Pasticca”... Era un tipo basso e tarchiato con gli occhi perennemente schizzati fuori dalle orbite. Non mi chiese neanche che cosa volessi, ma mi porse un paio di pillole colorate che buttai giù con un sorso di tequila, senza nemmeno domandarmi che roba fosse. Non so cosa mi fosse passato per la testa, ancora non riesco a concepire come io abbia potuto comportarmi in maniera così indiscutibilmente idiota. Com’era prevedibile, nel giro di pochi minuti iniziai a sentirmi poco bene… Avvertivo vertigini e nausea, quindi uscii dal locale per prendere una boccata d’aria. Credo di aver camminato per un po’ prima di svenire per strada. Guido e gli altri se n’erano andati senza chiedersi che fine avessi fatto e mi avevano lasciata collassata su un marciapiede, fino al momento in cui non avevo ripreso conoscenza.

    Capitolo II



    Maledicendo Guido, i suoi amici e la mia stupidità, mi guardai in giro chiedendomi per quanto tempo fossi rimasta svenuta, ma dovevano essere trascorse al massimo un paio d’ore poiché tutto intorno era ancora buio pesto. Riprovai ad alzarmi, questa volta per fortuna con successo. Mi massaggiai le tempie ancora dolenti ragionando sul da farsi. Proprio in quel momento una mercedes scura percorse quello stradone isolato e si fermò a un metro di distanza da me. Il finestrino dal lato sinistro si abbassò. “Hai bisogno di aiuto?” proferì una giovane voce bassa e calda. Accecata dalla luce dei fari strizzai gli occhi per mettere a fuoco l’immagine del guidatore. “Ti serve un passaggio?” continuò con tono estremamente cortese. A quel punto riuscii finalmente a scorgere i lineamenti del suo viso. Era un ragazzo sulla ventina, dai capelli scuri un po’ lunghi e un paio di occhi chiari e penetranti. Esitai prima di rispondere. Mi chiesi se sarebbe stato più prudente accettare un passaggio da uno sconosciuto che poteva essere un maniaco che mi avrebbe violentata e uccisa, oppure continuare a piedi fino a casa con il rischio di essere violentata e uccisa da un maniaco incontrato per strada. Mi resi conto di non avere molte alternative. Mi dissi che quel tipo aveva l’aria di essere un ragazzo dabbene, e poi uno che gira con una macchina del genere ha sicuramente uno stuolo di ragazzine sgallettate ai suoi piedi e non ha bisogno di adescare la prima che gli capita a tiro, soprattutto se nelle condizioni pietose in cui mi trovavo io in quel momento. Mi autoconvinsi che il mio soccorritore volesse fare solo una buona azione disinteressata e mi decisi ad accettare il passaggio. Mi accomodai sul sedile accanto a lui senza parlare, il tipo mi fissò un momento ma non fece domande, poi si girò nuovamente a guardare la strada, mise in moto la macchina e partì. Questa volta fui io a voltarmi per scrutarlo meglio. Aveva un bel naso e un profilo aristocratico. Doveva essere piuttosto ricco per permettersi un’auto così bella, forse aveva davvero il “sangue blu”, anche se non mi risultava che nella mia città vivesse qualche famiglia nobile. Per qualche minuto regnò tra di noi il più assoluto silenzio, l’unico rumore era quello del potente motore della mercedes che dominava l’asfalto… Poi si udì una vibrazione, seguita da un motivetto orecchiabile, la sigla del mio telefilm preferito. Era il mio cellulare che squillava. Lo tirai fuori dalla borsetta e guardai il nome sul display, aspettandomi di leggere quello di Guido che si era improvvisamente reso conto di avermi “dimenticata”. Sbagliavo, era mia madre. Molto probabilmente si era svegliata nel cuore della notte e, vedendo che non ero ancora rincasata, era andata su tutte le furie. Risposi titubante e confermai i miei sospetti. Pur di sfuggire alle sue ire inventai la prima scusa che mi venne in mente. “No mamma, guarda che mi sono fermata a casa di Francesca, stavamo dormendo già da un pezzo... Ma non hai letto il messaggio sul cellulare?”. Rispose che il messaggio non le era arrivato, com’era ovvio che fosse dato che non gliel’avevo mai mandato. Blaterai qualcosa sul fatto che avremmo dovuto cambiare compagnia telefonica perché quella che avevamo attualmente non era per niente affidabile, poi le augurai la buonanotte e terminai la chiamata. Mi ero cacciata in un altro bel casino, adesso non sarei potuta nemmeno tornare a casa e non avevo un posto dove passare la notte, anche perché in realtà la mia amica Francesca e i suoi genitori erano fuori città in quei giorni. Mi voltai e incrociai lo sguardo del presunto aristocratico. I suoi occhi erano ancora più belli di come mi erano sembrati all’inizio. “Adesso pensi che io sia una scema, non è vero?” gli domandai. Accennò un timido sorriso a fior di labbra. “Certo che no, penso semplicemente che tu abbia un talento particolare nel cacciarti nei guai”. Gli sorrisi anch’io. “Sei un osservatore molto acuto”. “Ti ringrazio… Se non hai un posto dove andare puoi fermarti a casa mia fino a domattina”. Se avevo avuto delle perplessità quando mi aveva offerto un semplice passaggio, a quel punto fui letteralmente sbigottita. Non mi conosceva affatto e mi offriva di passare la notte a casa sua? Questa volta le sue intenzioni non potevano proprio essere totalmente disinteressate… Ma lui sembrò leggermi nel pensiero perché aggiunse subito: “Tranquilla, voglio solo darti una mano, e comunque non devi accettare per forza. Sappi che in ogni caso mi farebbe piacere aiutarti”. “Mi stai già aiutando… ma non so nemmeno come ti chiami e tu viceversa…”. “Possiamo rimediare subito. Il mio nome è James. So che è un nome insolito in Italia, ma vedi, ho origini irlandesi…”. “James è proprio un bel nome. Il mio è Angelica.”. “Anche il tuo nome è bellissimo, e ti si addice, hai proprio un viso d’angelo.”. Ringraziai per il complimento, poi mi guardai di sfuggita nello specchietto retrovisore. Avevo gli occhi cerchiati e i capelli scarmigliati appiccicati sulla faccia. Più che un angelo sembravo una povera tossica. “Quindi, Angelica, accetti la mia offerta d’aiuto?” chiese ancora lanciandomi un nuovo sguardo. Avrei voluto rifiutare, o meglio avrei dovuto… era ciò che avrebbe fatto qualsiasi persona ragionevole. Ma quegli occhi di ghiaccio avevano un tale magnetismo da privarmi di qualsiasi residuo di ragionevolezza… Fu così che accettai di trascorrere la notte in compagnia di un completo estraneo.

    Capitolo III



    La mercedes nera svoltò per una stradina secondaria nascosta tra i noccioli. Avevamo percorso poche centinaia di metri quando aprii il finestrino per inspirare un po’ di ossigeno. Sentii improvvisamente freddo. Era strano quel brusco cambio di temperatura da un minuto all’altro. Il paesaggio circostante si ricoprì di un fitto velo latteo. Anche la nebbia in quel periodo dell’anno era piuttosto insolita. Pensai che forse la famiglia di James, avendo nostalgia di casa, avesse deciso di portarsi un po’ di Irlanda nell’entroterra campano. Chissà quanto avevano pagato al metro cubo quella fitta foschia che non permetteva di intravedere nulla a un palmo dal proprio naso… Continuammo ad avanzare per un chilometro, o forse due, quando finalmente la nebbia iniziò a diradarsi. Un alto cancello in ferro si aprì automaticamente al nostro passaggio. James fermò l’automobile in un viale alberato. I fari illuminarono un’imponente costruzione in pietra che aveva l’aria di essere abbastanza antica. Più che una villa sembrava quasi un castello. Mi chiesi come mai non avessi mai sentito parlare di un edificio così bello e maestoso proprio nelle vicinanze di casa mia. All’esterno la villa era davvero splendida, ma appariva poco curata, come rivelava l’edera rampicante che ormai si era impadronita quasi completamente delle mura. Evidentemente i padroni di casa erano troppo impegnati per occuparsi della manutenzione domestica. Anche le aiuole, pur ospitando degli incantevoli roseti, tra i più rigogliosi che avessi mai visto, erano incolte e piene di erbacce. James spense il motore e usci dall’auto. Lo seguii. Ci trovammo davanti a un vecchio portone in legno con rifiniture in ottone. Infilò la chiave nella serratura, le fece fare un giro completo producendo un rumore sordo, quindi la porta si aprì cigolando. Mi sarei aspettata di veder arrivare un maggiordomo incartapecorito in livrea, ma mi resi conto che in tutta la casa le uniche presenze eravamo soltanto io e James. “I miei sono fuori città per affari e hanno congedato per qualche giorno tutto il personale. Temporaneamente sono tutto solo in questa grande villa desolata, perciò sono contento di sapere che almeno per stanotte ci sarà un’altra presenza umana.” spiegò semplicemente. In quel momento un orologio a pendolo produsse due rintocchi. Avrei giurato che fosse più tardi, invece erano solo le due di notte. James mi condusse per delle scale ripide fiocamente illuminate da lampade da parete e mi accompagnò fino alla stanza degli ospiti. “A destra trovi il bagno, non abbiamo la doccia ma c’è una bella vasca spaziosa per un bagno rilassante. Vedrai che dopo ti sentirai meglio. Troverai anche un accappatoio e degli asciugamani puliti. Nell’ultimo cassetto della specchiera c’è della biancheria da notte. La teniamo pronta nel caso di ospiti improvvisi, come te in questo momento.” disse con il suo sorriso particolare, appena accennato. Fissai per un momento quel volto dai lineamenti decisi e delicati al tempo stesso. Era veramente un ragazzo attraente, e notai solo allora quanto fosse alto, forse un metro e ottantacinque, con una corporatura sottile ma forte. Indossava un paio di pantaloni neri e una camicia bianca ben stirata. Aveva classe ed eleganza da vendere, era così diverso dai ragazzini spocchiosi che avevo conosciuto fino ad allora... Gli fui infinitamente grata per la sua gentilezza e disponibilità. Mi augurò la buonanotte e discese al piano inferiore. Rimasta sola decisi di seguire il consiglio del mio cortese ospite e mi diressi in bagno. Riempii la grande vasca con acqua calda e bagnoschiuma e mi immersi in quel paradiso. La schiuma era soffice ed emanava un profumo di rosa. Mi rilassai e rimasi a mollo per chissà quanto tempo. Poi mi avvolsi in un morbido accappatoio ed entrai nella stanza che mi aveva mostrato James. Rimasi colpita da tanta ricercatezza nell’arredamento. Il letto era spazioso, il mobilio rivelava un gusto sublime. Solo la carta da parati, pur di ottima qualità, era sgualcita e scollata in qualche punto, e la moquette appariva leggermente consunta. Aprii l’ultimo cassetto della specchiera, come mi aveva indicato James, e vi trovai vestaglie e camicie da notte di straordinaria finezza. In tutti i miei sedici anni di vita non avevo mai indossato un vestito di manifattura più pregiata di quella biancheria. Scelsi una lunga camicia di seta bianca che scivolò sulla mia pelle come il leggero tocco di una farfalla. Mi spazzolai accuratamente i capelli finché non furono perfettamente lucenti e lisci, poi li sparsi ordinatamente sulle spalle. Mi osservai nel grande specchio intarsiato. Non sembravo più una tossica, adesso avevo l’aria di una principessa che ha appena fatto ritorno nel suo castello incantato… Mi adagiai sul copriletto damascato e, distrutta com’ero, fui subito colta da un sonno profondo.

    Capitolo IV



    Quando aprii gli occhi mi sentii così riposata da pensare di aver dormito un’eternità. Risvegliarsi in quel letto estraneo non fu per niente traumatico. Anzi, provai una sensazione di familiarità, come se qualcosa di quella grande villa mi appartenesse… Gettai un’occhiata all’orologio da tavolo poggiato sul comodino e mi accorsi che segnava ancora le quattro. Sconcertata, pensai che l’orologio fosse rotto o regolato male, quindi mi alzai e frugai nella mia borsetta per verificare l’orario sul cellulare. Non lo trovai, sicuramente l’avevo dimenticato in macchina. Allora mi indirizzai verso la finestra per vedere se il sole fosse già alto all’orizzonte. Cercai di aprirla, ma sembrava incastrata. Mi venne il sospetto che avessi dormito troppo e che fossero già le quattro del pomeriggio. Mi spaventai. Se mia madre, non vedendomi tornare, avesse provato a chiamarmi sul cellulare e non mi avesse trovata, avrebbe sicuramente telefonato a casa di Francesca, scoprendo che non c’era nessuno e che le avevo mentito. Presa dal panico corsi fuori dalla stanza a piedi nudi. Mi precipitai al piano inferiore. Lì trovai James seduto accanto al caminetto, intento a sistemare la legna sul fuoco. Sentendomi arrivare, si voltò con uno sguardo sorpreso. “Non riesci a dormire?” mi domandò. Guardai l’orologio a pendolo dell’ingresso, anch’esso segnava le quattro, e il cielo che si intravedeva dai vetri spessi della finestra era ancora scuro. Ero sempre più confusa… eppure ero convinta di aver dormito per un bel pezzo. Mi convinsi che fosse ancora l’effetto di quella roba che avevo preso e che alterava le mie percezioni sensoriali. “Non ho più sonno, mi sento molto meglio.” risposi soltanto, per evitare spiegazioni. “Vieni a riscaldarti vicino al fuoco…” mi invitò. In quel momento mi resi conto di essere tutta infreddolita con la mia camicia da notte in seta leggera, eppure eravamo alle porte dell’estate e quel freddo pungente era assolutamente fuori luogo… Pensai a mio nonno, che si lamentava continuamente delle stagioni ormai completamente sottosopra, e asserii che non aveva tutti i torti. Feci per avvicinarmi a James, ma la mia attenzione fu catturata dal quadro che troneggiava sopra la sua testa, circondato da una pesante cornice di legno. Ritraeva una famiglia, quasi sicuramente aristocratica, e a giudicare dall’abbigliamento doveva risalire più o meno alla metà dell’Ottocento. L’uomo era alto, imponente, dall’aria severa e la folta barba grigia. Teneva le mani sulle spalle di una ragazzina di circa otto anni, esile e bionda come una bambolina di porcellana, con un’affettuosità che strideva con l’espressione altera del volto. Accanto al marito sedeva una donna graziosa, dalla chioma dorata come quella della figlioletta, e teneva tra le braccia un pargoletto addormentato ancora in fasce. James intuì la direzione del mio sguardo. “Sono dei miei lontani parenti.” mi spiegò, e solo allora mi accorsi che la donna e la bambina avevano gli stessi identici occhi chiari del bel giovane che mi stava accanto. Mi lasciai sprofondare sulla poltroncina illuminata dalle fiamme che scoppiettavano vivacemente nel focolare. Continuavo ad osservare il fuoco, ma potevo sentire chiaramente su di me lo sguardo indagatore di James che mi esaminava attentamente. Avvertii un brivido lungo la schiena, e mi chiesi se fosse ancora unicamente colpa del freddo. Il silenzio in quel momento risultava particolarmente imbarazzante. “Volevo ancora ringraziarti per il tuo aiuto, mi sento in debito per la tua gentilezza.” affermai tanto per dire qualcosa. Lui scosse la testa. “Ma figurati, ti ho già detto che mi fa piacere avere un po’ di compagnia… Quanti anni hai?” continuò come per avviare una conversazione. “Sedici. E tu?”. “Qualcuno in più…” fu l’elusiva risposta. E il discorso appena iniziato languì.

    Capitolo V



    Restammo muti a fissare il fuoco con una tale intensità, come se dalle fiamme sarebbero dovuti apparire da un momento all’altro i numeri di un terno vincente al lotto. In un angolo della grande sala notai la presenza di un elegante pianoforte a coda. Decisi di fare un nuovo tentativo per rompere il ghiaccio con il mio poco loquace ospite. “Suoni?” buttai lì come per caso. “Ho preso lezioni per anni…” replicò lui. “Mi piacerebbe ascoltare qualcosa… sempre che a te non dispiaccia…” aggiunsi. In tutta risposta si alzò e andò a sedersi al pianoforte. Socchiuse gli occhi come per cercare l’ispirazione, quindi iniziò a sfiorare i tasti un po’ ingialliti. Intonò una sinfonia che non avevo mai udito prima. Del resto non ero un’intenditrice di musica classica, preferivo di gran lunga del buon rock o metal. Non occorreva, tuttavia, essere degli esperti per cogliere il talento straordinario che James possedeva al pianoforte. Le note prodotte dal suo tocco sapiente emanavano una sorta di magia. Se i bravi musicisti sono capaci di trasferire le proprie emozioni nella musica, allora l’anima di James doveva essere un universo di passioni intense e lancinanti. Rabbia, dolcezza e struggente malinconia si alternavano in un armonico susseguirsi, giungendo fino al mio cuore e trafiggendolo come milioni di spilli. Era una sensazione dolorosa e piacevole nel contempo, quasi un’esperienza mistica di catarsi e rigenerazione. Gli occhi cerulei di lui brillavano febbrilmente mentre le sue lunghe mani ben curate si accingevano ad eseguire gli ultimi passaggi. Quando l’eco dell’ultima nota fu svanita nell’aria mi accorsi di avere il viso inumidito dalle lacrime. James alzò gli occhi dal pianoforte e mi guardò stupito. “Angelica…” sussurrò, conferendo al mio nome un suono nuovo, intriso di delicatezza. Mi asciugai le guance con il dorso della mano, sentendomi una sciocca. “Sei veramente bravo…” mormorai stupidamente, consapevole del fatto che nessuna mera parola potesse esprimere pienamente ciò che avevo appena provato. Abbassai gli occhi per un istante e quando li risollevai mi ritrovai quelli di lui a pochi centimetri di distanza dalla mia faccia. In quel momento realizzai che mi trovavo in piena notte con un ragazzo sconosciuto in una villa isolata, e per la prima volta ne ebbi realmente paura. Alzai le braccia per allontanarlo, ma lui le strinse con decisione e chinandosi sul mio viso mi sfiorò lievemente le labbra con le sue. Fu un brevissimo istante, poi si allontanò bruscamente e si avviò alla scalinata che conduceva al piano superiore, senza fiatare. Restai rigida e impietrita per qualche secondo, era stato come essere investita da una scossa elettrica… Avvertivo un tremito alle labbra di cui non mi spiegavo il motivo. Non era stato neppure un vero bacio, ma aveva avuto l’intensità di un uragano. Avrebbe potuto farmi del male se avesse voluto, ma si era limitato a sfiorarmi appena. Compresi che potevo fidarmi di quell’insolito ragazzo dagli occhi chiari e mi sentii come protetta dalla sua forte stretta. Pensai alle sue mani intorno ai miei polsi, gelide come le sue labbra, e mi figurai la carezza di un cristallo di neve.
    Attesi davanti al caminetto che James ridiscendesse, ma sembrava scomparso nei meandri di quella grande casa. Mi domandavo cosa avesse provato nel momento del nostro “contatto” e per quale motivo fosse fuggito via senza dire niente. Avrei voluto avere Francesca accanto a me per raccontarle le mie emozioni di quell’istante, ma ero sola e in ogni caso non avrei saputo cosa dirle esattamente. Mi sentivo confusa e dovevo ancora capacitarmi di quella bizzarra serie di eventi in cui mi ero trovata coinvolta nel giro di poche ore. Pensai a Guido e paradossalmente mi sentii riconoscente verso di lui… Se non avessi accettato malvolentieri il suo invito, se non mi fossi annoiata a tal punto da ingerire quella porcheria che mi aveva propinato il suo amico, se non mi avesse piantata mezza morta all’uscita della discoteca, adesso mi sarei trovata a casa mia a dormire placidamente nel mio lettino, ignorando totalmente l’esistenza di James. E improvvisamente quell’eventualità mi apparve come la cosa più orribile che potessi immaginare… Quella notte il destino aveva deciso che le nostre strade si sarebbero incrociate, e dentro di me sapevo che i nodi del destino non si sciolgono così facilmente. Era l’ultima cosa che potessi desiderare, dopotutto.



    Se avete avuto la pazienza di leggere tutto, attendo i vostri consigli :)
     
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  2. -Sharon-
     
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    Ho letto il tuo racconto e mi è piaciuto molto,anche se vorrei chiarire alcuni punti con te...non è che avresti msn? :unsure:
    Sempre se non ti dispiace ovviamente! ^_^
     
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  3. *Princess_Fedy*
     
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    Bellino davvero, mi ha preso :wub:
     
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  4. saretta.2
     
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    ke bello!!! m è piaciuto molto...veramente carino....anke a me ha preso...e tanto.....xò continualo!!!! se t vengono nuove idee e lo continui posti il seguito? m piacerebbe 1 kasino sapere cm va a finire!!!!
     
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  5. -Sharon-
     
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    Le domande sono:
    "Chi era James?"
    "Perchè Angelica non aveva mai sentito parlare di quella villa?"
    "Cosa c'era in quella villa di a lei familiare?"
    "Come mai il brusco cambiamento di temperatura da un momento all'altro...?"
    "Perchè James è così gelido?":wacko: :unsure: :unsure:
    Sono curiosissima!! :sofa.gif:
    Continualo Witch,continualo!! :) ;)
     
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    bambolina killer

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    grazie per le risposte ^^
    sharon se avessi l'ispirazione continuerei... cioè, so cosa deve accadere ma ancora non mi viene come scriverlo :unsure:
    che razza di scrittrice che sono XD
     
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  7. kristal
     
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    è fantastico i capitoli k hai scritto mi prendono davvero e i termini k usi alternando i toni sn molto adatti al carattere di angelica continualo prima k puoi xk nn vedo l ora di conoscere il seguito e scoprire se tra i due protagonisti possa realmente nascere un sentimento k va oltre la semplice conoscenza...
     
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  8. Isabella90
     
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    continua continua continua!!!!!voglio sapere che succede dopo!!!
     
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    bambolina killer

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    purtroppo per il momento non ho proprio tempo per mettermi a scrivere, ma spero di riuscire a finirlo prima o poi XD ^^
     
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  10. .BLISS.
     
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    Noooo è bellissimo! Mi ha preso troppo, davvero!
    Secondo me sarebbe interessante se vivessero una relazione senza sapere chi sono a vicenda...
     
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    Micia

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    All'inizio alcuni concetti vengono ribaditi più del necessario e il racconto, sino ad un certo punto, sembra quasi l'insieme delle pagine di un diario o uno scritto rivolto ad un'amica molto intima... L'uso dei dialoghi ricatapulta il lettore nel presente, in modo quasi traumatico, facendo svanire per un po' la sensazione di stare leggendo le confidenze espresse a un diario segreto o a una cara amica di penna (o di e-mail).

    Questo si avvicina ai generi che non amo, tuttavia il racconto è scritto bene, però presenta molte lacune affiancate da ripetizioni non indispensabili, ma nemmeno fastidiose.

    Non si sa quasi nulla degli amici della protagonista, Francesca viene citata di punto in bianco senza un apparente filo logico, né indizi sul perché abbia iniziato a raccontare proprio di quell'amica (che solo in seguito si scopre essere un'amica, quando viene ripresa come alibi), che compare dal nulla più assoluto e scompare nello stesso modo.

    Il racconto postato era solo all'inizio, probabilmente avrai anche tempo per approfondire il resto, se vorrai trattare della vita privata di Angelica prima dell'incontro con James... Che da ciò che scrivi sembra sia un fantasma. Angelica, per quanto ne sappiamo, potrebbe benissimo essere morta. XD

    Chissà se in questi anni hai finito di scrivere... Mi auguro di si, è un racconto che merita, anche se forse non tutti apprezzeranno l'abbondare di termini poco usati e poco consoni all'adolescente media, però Angelica non è un'adolescente qualunque che segue sempre gli altri, no?

    Sarei molto curiosa di leggere il resto... Tuttavia non ho idea se tornerai qui a rispondere, sono passati tanti anni...

    Un'altra cosa che posso consigliarti è di ridare una lettura al testo, e di risistemare alcune virgole, per scandire meglio i discorsi fatti dalla narratrice, che nelle prime righe risultano poco chiari, mentre nel resto del testo penso vadano bene, anche molto bene.

    Poi ci sono delle piccole e poco significanti sottigliezze, come l'uso di plurali non richiesti (per esempio potevi scrivere: "rinoceronte", anziché: "rinoceronti").

    In ogni caso scrivi molto meglio di varie scrittrici e di alcuni scrittori italiani. ^^

    Ti consiglio di pensare a quale stile usare per proseguire, e valutare se tenere la divisione in capitoli così come è fatta, o rivederla; ti suggerisco pure di chiederti perché il racconto viene narrato in prima persona e quasi sempre con tempi passati, almeno per ora, se già non lo avevi fatto e di darvi una spiegazione. Esiste un netto distacco tra il mondo in cui si viene trascinati dalla narratrice, mentre racconta al passato, e quando partono i dialoghi, che la prima volta danno la forte e marcata sensazione di essere teletrasportati in un altro tempo (ma non è necessariamente negativo, seppure lasci spaesati la prima volta, perché parte il dialogo esattamente come in precedenza viene citata di punto in bianco l'amica Francesca).
     
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  12. Melly05
     
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    Sei magnifica
    anke io sto finendo un racconto simile e mi piacerebbe pubblicarlo
    se succede vi dirò il nome :yvsg0jl.gif:

    Bravissima un talento unico...
    anke io sto scrivendo un libro abbastanza sul simile mi piacerebbe pubblicarlo...
    se accadrà vi dirò il nome
    eccellente magnifica cmq
     
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  13.  
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    Junior Member

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    bello
     
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