Sabato 21 luglio

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  1. Roip il ritorno
     
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    Sento i cani che pochi minuti fa ho sbattuto fuori dalla porta della taverna scendere le scale, piangere, e respirare affannosamente dietro alla mia porta.
    Cercano me. Solo perché gli sono affezionata, mi vogliono bene e vogliono stare con me, niente di più. Niente di più inutile, a me non interessa.
    Sento altri passi, stavolta umani.
    Mio padre viene a chiedermi perché mi comporto così con Pauline- uno dei cani -pur sapendo com’è fatta e che lei vuole stare con me. In questo particolare caso, mi chiede quindi perché ho chiuso la porta con lei fuori.
    Esordisce dicendo che una bambina dispettosa non può essere intelligente.
    Rido.

    Ora Pauline è qui, non la vedo ma la sento respirare, seppur sia distante da me.
    Non osa avvicinarsi a me, ha paura della mia ovvia reazione: come io so che lei vuole stare con me, lei sa piuttosto bene che per me non è affatto così, e che se la vedessi qui mi arrabbierei, e molto.
    E’ sotto il tavolo, credere di essere nascosta, la troia.
    Io la odio. Non sopporto di dargliela vita, specie quando questo non dipende da me, e non posso fare niente al riguardo.
    Ho pensato di ucciderla, privandola di ogni goccia del suo sangue, ma mi farebbe troppo schifo.

    Qui posso sentire solo il silenzio. Il silenzio che ho cercato in ogni stanza di questa casa, trovandolo solo qui.
    Questo silenzio è troppo spesso interrotto dal rumore del respiro della puttana.
    Ora è improvvisamente cessato. No, purtroppo non è morta, ma evidentemente respira così lievemente che i suoi respiri si perdono nel vuoto.

    Riecco mio padre. Mi ha portato una coperta nell’eventualità che faccia freddo, “è umido qui”.
    Io sto benissimo, mi piace, qui.
    Ho un leggero mal di testa.

    C’è una finestra chiusa, poco distante da me.
    Vorrei aprirla e vedere cosa c’è fuori. Vorrei sapere se potrei scappare da lì, per poi svanire nella notte scura.
    Notte? E’ appena mezzanotte e un quarto.

    Sono distesa sul divano, a pancia in giù.
    Appoggio la testa sul cuscino, frontalmente, inclinandola leggermente verso il basso. Mi ritrovo piacevolmente nel calore della mia scollatura. Vorrei che ci fosse un uomo qui con me, ma non uno qualunque.
    Vista da chiunque altro, in questa posizione, immobile e col viso coperto, sembrerei morta. Resterei così per sempre.
    Appoggiando la testa, provo un’inaspettata sensazione di benessere, riposo e sollievo.
    Non ho affatto sonno, sono solo stanca. Stanca di aspettare.
    Tolgo la faccia dal cuscino, e mi tolgo il collare ricoperto di borchie che da qualche minuto stava iniziando a diventare incredibilmente pesante e fastidioso.

    Sono illuminata solo dall’opaca luce di una lampada posta a meno di un metro da me. Se mi volto, il resto della stanza è buio.

    Pauline ancora non accenna a smettere di respirare.
    I suoi segni vitali ricominciano a infastidirmi, e questa volta anche a turbarmi, pensando a quello che ciò avrebbe potuto comportare.
    Immagino la scena del ritrovamento del suo cadavere in giardino.
    Immagino il suo corpo inerme, lacerato e completamente dissanguato.
    Immagino la disperazione e lo stupore per la tragedia.
    Immagino i miei familiari che cercano spiegazioni plausibili per l’accaduto, senza trovarne: quale spietato, feroce e selvaggio animale, per compiere quel gesto si sarebbe potuto trovare nel giardinetto di una villetta a 5 minuti dal centro di Varese, provincia della Lombardia?
    Potrebbero pensare che sia stato un dei nostri stessi cani, o magari quello di qualche vicino.
    Immagino infine la reazione di mia sorella, la più legata a lei, quando verrà a sapere della vicenda.
    Immagino tutte queste cose, e mi piace.

    Riappoggio la testa sul cuscino, stavolta di lato, con lo sguardo fisso su una piccola parte di stanza poco illuminata, seppur in realtà contemplando il nulla.
    Penso. Mi sento vuota, completamente vuota.
    Non per questo infelice, solo vuota.
    Poi alzo leggermente lo sguardo, ed ecco la finestra.
    Ecco, come non detto. Ora mi sento anche triste.

    Davanti al mio giaciglio c’è una lunga asse fatte in pietra, attaccata al muro da un lato, messa subito sopra un mobiletto, ben incastrata tra due pareti.
    Questo ripiano è abbastanza largo e lungo, abbastanza perché ci possa stare sopra una persona adulta, sdraiata. Magari anche due.
    Sempre sul medesimo ripiano, più avanti c’è un caminetto.
    Ricordo quando anni fa, da bambina, mi addormentavo sempre su un ripiano strutturato proprio allo stesso modo di questo, con la differenza che era posto sopra un calorifero, e che si trovava in un’altra casa.
    Ricordi. Sono ancora molto giovane.

    Il continuo e ripetitivo rumore del silenzio sta diventando insopportabile, e mi sta invitando a pensare, o forse più semplicemente, ricordare.
    Ma io non voglio. Ora mi rifiuto di farlo, voglio essere lasciata in pace.
    Do un’ultima sfuggevole occhiata alla famosa finestra, trovandomi sorpresa, oltre che dalla solita triste e tetra, da un’insolita sensazione piacevole, che non so o non mi voglio spiegare.

    La luce della lampada sembra cambiare. No, è la mia vista che sta cambiando, o meglio la percezione delle cose mediante la mia vista.
    Vedo tutto un po’ sfocato, la poca luce emanata dalla lampada sembra affievolirsi e diminuire sempre di più, e, insieme alle cose circostanti, comincia a prendere una sfumatura rossiccia.
    Sento in modo amplificato e costruito ogni minimo rumore: sembra che ogni suono abbia una durata incessante. Pare ripetersi sempre allo stesso intervallo di tempo, infinite volte.
    Inizia a girarmi la testa, mi sento strana.

    Improvvisamente, inizio a sentire anche il mio, di respiro.
    Sempre in modo amplificato, forte, ritmico e preciso. Impeccabile.
    Questo mi tranquillizza subito, per due motivazioni:
    La prima è per un deja-vù. Poco tempo fa mi è capitato di sentire solo il mio respiro, in un momento ben preciso, e quello che accadde quella volta è tutt’altro che spiacevole.
    Il secondo non credo di volerlo dire.
    Però dico che così mi sento viva.

    Ignoro il tutto. Pare funzionare, tutto sembra improvvisamente scomparire.
    Poi chiudo gli occhi. Inizio a fantasticare su una vita che non mi appartiene, e che probabilmente non è mai appartenuta a nessuno.
    Mi addormento.
     
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