Storia breve di una ragazza triste

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  1. Darkness'Nightingale
     
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    E' tanto tempo che sto in questo forum e non ho mai postato nessuno dei miei scritti...quindi adesso, visto che mi è capitato di aprire il mio blog (cosa che non facevo da tempo) e trovare un paio di scritti che mi rendono orgogliosa assai, li posto.
    Buona lettura :)

    ps. Spero non ci sia bisogno di precisare che è vietato il plagio, totale o parziale, o l'uso da parte di terzi di questo scritto per qualsiasi scopo senza il mio consenso, vero?

    Storia breve di una ragazza triste



    Oggi Sofia ha voglia di sviscerare il mondo: ha voglia di infilare le sue dita lunghe e bianche negli intestini della terra, squarciarli e tirarne fuori manciate di lombrichi e insetti morti, foglie marcite e germogli troppo giovani, terra nera e viscida come un vetro sporco bagnato dalla pioggia.
    Ha voglia della sensazione di fango sotto le unghie, di melma tra le dita.
    Sofia graffierebbe il mondo e lo ridurrebbe ad un brandello lacero di vita , e tutta la malvagità colerebbe fuori dalle ferite e si disperderebbe nell’universo e lo contaminerebbe e lo ucciderebbe e magari la terra sarebbe un posto migliore, almeno per un po’.
    Sofia vorrebbe degli artigli: le piacerebbe vedere le sue unghie mangiucchiate crescere improvvisamente a dismisura, fino a diventare lunghissime e dure come diamanti; non le scalfirebbero nemmeno i frammenti appuntiti di quarzo o le pietre o le spranghe di ferro e Sofia le affilerebbe con la lametta che ha rubato alla mamma e farebbero talmente male che tutta la terra si contorcerebbe e sputerebbe fuori grumi di sangue nero, tisica e cattiva, sotto i suoi fendenti.
    Sofia vorrebbe ripulire il mondo.
    Sofia è buona; ha solo a cuore la sua esistenza e quella degli altri.
    Sofia sa che qui non si può essere felici, che qui ogni cosa è appestata dalla malvagità, tutto è dolore, e il male è come una ragnatela appiccicosa di liquirizia che si richiude su di te e ti digerisce ti entra dentro dagli occhi e dalla bocca e divora le tue budella finché non diventano melmose e raggrinzite pure quelle e tu ti sciogli in una pozza nera come la pece, anzi la liquirizia!

    Sofia è circondata dalla liquirizia.
    La tiene suo padre in salotto nel cestino dei dolci per quando la gente viene a casa, sua madre la compra e la mette in cucina, suo fratello gliela mette nel piatto per dispetto, e a Sofia viene la nausea, le fa ricordare la ragnatela che vuole catturarla, che la insegue, e allora corre in bagno; gira la chiave e respira e prende coraggio, ormai lo fa tutti i giorni, ogni volta che è costretta ad andare in salotto o in cucina, è facile.
    Sofia vomita.
    Lo fa di nascosto, barricata nel suo tempio dove il corpo si rigenera, si ripulisce e si purga di tutte le cose cattive che ha dovuto farsi entrare dentro e non vede l’ora di buttare di nuovo fuori, in una pozza d’acqua bianca, che non è bianca ma lo sembra: lombrichi e insetti morti, fogli marcite, germogli, falene bruciate, terra e melma.
    Vita sradicata dalle viscere della terra per far impazzire lei, Sofia.
    Si guarda allo specchio e vede porcellana e biglie nere, stoppa, paglia e fragole pallide; ossa che premono per uscire fuori, ancora di più, piccole cannucce pallide e scheletriche e occhi che sembra vogliano esplodere, ci sono solo loro a dominare quel viso, e quel buco rosso e livido da cui tutto entra ed esce.
    Sofia è magra, Sofia è bella, Sofia ha gli occhi grandi e le braccia piccole, Sofia ha i capelli lunghi e ricci sul viso affilato e ruvido come la scorza di un limone.
    Sofia dice che usa le lamette; Sofia in realtà fa la ceretta.
    A Sofia piace farsi male, strapparsi la pelle e i pensieri attaccati a strisce bollenti.
    Sofia si depila le braccia, i polsi e i gomiti.
    Sofia lì usa le lamette.
    A Sofia i vermi camminano sulle braccia: rossi e liquidi, colano giù e gocciano, cuore dopo cuore, intestino dopo intestino, fegato dopo fegato.
    Sofia si taglia.
    Sofia ha le belle braccia pallide percorse da decine di strade senza uscita, di vicoli che si interrompono sui polsi e sulle spalle, e muoiono lì, tracce di un piacere avido doloroso e incompleto destinate a diventare mura di carne luccicante e raggrinzite col tempo.
    Il tempo.
    Sofia fa il conto alla rovescia aspettando il giorno della sua morte.
    Sofia ha un grande tabellone dietro la porta della sua tana dove segna col sangue ogni giorno che passa e ogni giorno spera che quello sia l’ultimo e prega di risvegliarsi in Paradiso, l’inferno le fa paura, o al Purgatorio, purché sia da un’altra parte.
    Un posto dove non ci sono genitori che ti sgridano e ti criticano e ti giudicano e poi spariscono e li chiami e non ti rispondono per te non ci sono ti volevano diversa li hai delusi hanno troppo da fare per fare caso a te ormai sei grande hai 15 anni devi imparare e badare a te stessa.
    Un posto dove non ci sono ragazze belle, più belle di te, più magre più pallide più alte; dove non ci sono ragazzi scemi infantili e fissati, dove nessuno cerca di infilare gli occhi nella maglietta e ti dice “che schifo non hai niente” e ti fruga i vestiti alla ricerca di ciò che vuole e non lo trova e se ne va da un’altra.
    Un posto dove non esistono i vestiti firmati e gli stracci, gli i-pod e i computer, i ray-ban e i Miss Sixty e i cubi delle discoteche e i pali da lap dance dove puoi spogliarti e nessuno ti dice niente basta che balli e tutti ti guardano adoranti, divorano il tuo corpo con gli occhi e tu li sotto non sei nessuno, non balli non treschi non fumi non pippi sei proprio persa sei un fallimento una sfigata.
    Perché bisognerebbe desiderare di nascere, di stare in questo mondo osceno livido ubriaco moribondo lascivo ingiusto parziale?
    Sofia non lo sa.
    Sofia vorrebbe solo andarsene; volerebbe su in Paradiso e avvertirebbe tutte le creaturine che sono lassù, i quasi-bambini che devono ancora nascere, di nascondersi, di scappare, che non c’è niente di bello laggiù, solo schifezze, mettevi in salvo, state quassù felici.
    Non andate a sballarvi, a drogarvi, a deprimervi, ad ammazzarvi lì dove nessuno vi vuole e nessuno vi accetta.
    Non fate come Sofia, che per essere contenta deve squarciarsi le vene e lasciarsi morire nella vasca da bagno, per scappare, per trovare ciò che cerca, per evitare quell’ondata di tristezza chimica che l’assedia tutto il giorno, tranne la notte, quando sogna di essere morta.
    Rimanete lassù voi, che non avete nulla di bello da rimpiangere e nulla di brutto da dimenticare.
    Non fate come Sofia.

    Aver voglia di voler scrivere



    Voler scrivere qualcosa a tutti costi è la cosa più sbagliata che ci sia quando si vuole scrivere.
    Trovarsi davanti ad un bel blocco per appunti solido e intonso o ad un documento Word totalmente vuoto suscita una bella sensazione, da un lato fa venire voglia di lasciare rispettosamente tutto pulito e senza macchia com’è, ma dall’altro istiga un’assurda voglia, attenzione, non volontà, di scrivere.
    Le mani si ribellano con capriccio alla mente, prendono una penna o si posano sulla tastiera e…nella testa c’è una tale confusione, mille concetti allo stato di semplici percezioni che desiderano essere proiettati sulla carta, una turba di idee che si vanno formando e puntualmente, quando sembra siano quelle giuste, quelle che faranno scattare la scintilla, si disperdono nuovamente e non si ritrovano più.
    Si scatenano allora mille dilemmi.
    Che cosa farne del bel blocco nuovo?
    Farlo diventare un diario?
    O i proprio pensieri sono troppo miseri per imbrattare quelle belle pagine?Troppo aridi per gonfiare di inchiostro la carta e darle vita?
    Magari allora farne un blocco per appunti.
    E per appuntare cosa?
    Sono troppe le cose che si vorrebbe tenere a mente e troppo poca la voglia di farlo.
    Forse potrebbe diventare un futuro best-seller o una raccolta di poesie.
    Già, e da dove si comincia un best-seller o una raccolta di poesie?
    No, l’idea giusta decisamente non c’è, sembra aleggiare da qualche parte ma non ne vuole sapere di venire fuori, di scuotere i nervi delle braccia per prendere vita.
    Ma quanto è capricciosa l’ispirazione!
    Arriva quando meno ci si aspetta e scompare appena la si ricerca.
    Altre volte invece è troppa e non c’è tempo e spazio per tutte le idee che si vorrebbe deporre sul foglio per poi farle dischiudere con un soffio di realtà.
    Ancora, spesso è solo l’emozione che confonde e si presenta sotto le mentite spoglie dell’ispirazione.
    E quel bel blocco rimane lì, posato da solo sul tavolo, bianco com’era prima che lo si aprisse e come rimarrà per chissà quanto.
    Non c’è cosa più sbagliata che voler scrivere quando si vorrebbe veramente.
    Le parole vengono da sole, quando vogliono loro, non c’è modo di chiamarle a proprio piacimento.
    E questo è ciò che viene fuori quando si vuol scrivere a tutti i costi e si fa in modo di imbrigliare a tradimento le parole nel cannello della penna o nella punta delle dita…ma non è piacevole come altre volte sentirle fremere sotto la pelle…non sono ansiose di nascere, solo riottose per il forzato risveglio.
     
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0 replies since 13/3/2009, 14:53   165 views
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